Promozione dell’adenocarcinoma polmonare da inquinanti atmosferici

Promozione dell’adenocarcinoma polmonare da inquinanti atmosferici

I meccanismi con cui l’inquinamento atmosferico può contribuire al cancro ai polmoni rimangono difficili da individuare.  Per cercare di capire come l’inquinamento atmosferico induce il cancro ai polmoni è stato avviato questo studio tecnico-analitico di Hill e colleghi.  

Gli autori hanno utilizzato cellule polmonari, derivanti  da campioni umani e murini, e hanno chiarito come l’inquinamento interagisce con le cellule polmonari, promuovendo i cambiamenti che alla fine portano al cancro. 

Lo studio fa anche un’analisi dettagliata di diversi gruppi di pazienti e ricerca le eventuali differenze tra i tumori legati all’inquinamento atmosferico e quelli associati al fumo di sigaretta. Prevedibilmente, i non fumatori, che vivevano in aree altamente inquinate, avevano maggiori probabilità di sviluppare tumori polmonari rispetto ai non fumatori che vivevano in aree a basso inquinamento. 

Segue la traduzione in italiano dell’abstract originale dello studio e il nostro commento.

Promozione dell’adenocarcinoma polmonare da inquinanti atmosferici

Manca una comprensione completa di come l’esposizione a sostanze ambientali promuova la formazione del cancro. Più di 70 anni fa, è stato proposto che la tumorigenesi avvenga in un processo in due fasi: una fase iniziale che induce mutazioni nelle cellule sane, seguita da una fase promotrice che innesca lo sviluppo del tumore.  In questo studio, proponiamo che il particolato ambientale, che misura ≤2,5 μm (PM2,5) e che é noto per essere associato al rischio di cancro ai polmoni, ne promuova lo sviluppo agendo su cellule del tessuto polmonare sano che ospitano mutazioni oncogeniche preesistenti. Concentrandoci sul carcinoma polmonare indotto da EGFR, che è più comune nei non fumatori o nei fumatori leggeri, abbiamo trovato un’associazione significativa tra i livelli di PM2,5 e l’incidenza di carcinoma polmonare in 32.957 casi di carcinoma polmonare indotto da EGFR.  I modelli murini funzionali hanno poi rivelato che gli inquinanti atmosferici causano un afflusso di macrofagi nei polmoni e il rilascio di interleuchina-1β.  Nel tessuto alveolare di tipo II con mutazione EGFR, questo processo si traduce in uno stato in cui la cellula assume caratteristiche simili a quelle di una cellula progenitrice, alimentando così la tumorigenesi. Il profilo mutazionale del tessuto polmonare istologicamente normale di 295 individui ha rivelato mutazioni oncogeniche EGFR e KRAS rispettivamente nel 18% e nel 53% dei campioni di tessuto sano. Questi risultati nel loro insieme supportano l’idea che  gli inquinanti atmosferici PM2.5 abbiano un ruolo di promozione del tumore e forniscono slancio alle iniziative di politica sanitaria pubblica che intendono affrontare l’inquinamento atmosferico e ridurre l’incidenza di malattie.


Commento 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già concluso che l’inquinamento atmosferico è responsabile dell’aumento del rischio di sviluppare un cancro ai polmoni, con una stima di 250.000 decessi in tutto il mondo all’anno attribuibili ad esso. La migliore soluzione sarebbe porre fine all’inquinamento, ma farlo presenta una sfida al momento insormontabile.  Ed è improbabile che un simile approccio dia frutti a breve termine.

È per questo che studi come questo, che evidenziano le cause molecolari – e di conseguenza le potenziali azioni preventive – sono cruciali nello spronare la ricerca di una soluzione per lo meno provvisoria al problema.

Hill e colleghi hanno utilizzato una combinazione di modelli di cancro del polmone nei topi e nelle cellule umane per testare l’ipotesi che il particolato fine contenuto nell’ inquinamento atmosferico (meno di 2,5 micrometri: PM2,5) funzioni da agente promotore della tumorigenesi nelle cellule che hanno già una mutazione “dormiente”.  Ipotesi confermata dal fatto che i topi con mutazioni nel gene EGFR (noto per essere mutato in particolare nei non fumatori) o nel gene Kras (un gene comunemente mutato nel cancro del polmone), hanno sviluppato tumori polmonari a crescita più rapida dopo poche settimane di esposizione al PM2.5, rispetto ai topi privi di queste mutazioni.

La spiegazione più plausibile è che gli esseri umani sono suscettibili di acquisire mutazioni (come Kras e EGFR) spontaneamente durante la replicazione delle normali cellule polmonari, ma che queste mutazioni non causino una malattia immediata perché la struttura del tessuto rimane sostanzialmente intatta. Tuttavia, negli individui che vivono in aree con alto inquinamento atmosferico, queste cellule potrebbero essere promosse a proliferare dai PM2,5, sviluppandosi così un tumore.

Questi risultati hanno importanti implicazioni su come pensare alla prevenzione del cancro. Un modello popolare di evoluzione del cancro presuppone che i tumori sorgano come conseguenza dell’inesorabile accumulo di mutazioni, ognuna delle quali attiva un particolare stadio o percorso di segnalazione che guida la progressione del cancro.  Al momento non c’è nulla che possa essere fatto per rimuovere le cellule mutate che si accumulano nei tessuti normali, ma se esiste uno stadio di promozione che influenza il tasso di sviluppo del cancro, allora l’inibizione dei processi che portano a tale stadio potrebbe essere un modo efficace per prevenire il cancro.

Ad esempio, basandosi sui risultati di Hill e colleghi che mostrano una maggiore espressione della proteina interleuchina-1β (IL-1β) durante l’infiammazione polmonare indotta da PM2.5 nei topi, si potrebbe utilizzare un anticorpo mirato all’IL-1β per ridurre l’incidenza del cancro del polmone. Tale possibilità è stata parzialmente confermata da altri studi. 

Purtroppo la prevenzione del cancro ai polmoni, che si potrebbe ottenere trattando milioni di individui esposti a inquinamento in tutto il mondo con costosi anticorpi anti-IL-1β, non è fattibile. Tuttavia, le conoscenze acquisite da questo studio potrebbero rivitalizzare la ricerca di misure di prevenzione più realistiche, inclusa la possibilità di interventi alimentari. Ad esempio: è stato  dimostrato come il consumo di acido ursolico (presente nella buccia di mela, nei mirtilli ed in diverse erbe aromatiche) e di curcuma (una spezia) riducono l’incidenza di tumori nei topi esposti ad agenti che promuovono il cancro, anche inibendo l’espressione di IL-1β e di altri mediatori dell’infiammazione.

Anna Muroni

direttore medico

Gianfranco Buccheri

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