A che punto siamo nella cura del cancro al polmone nel 2017?

A che punto siamo nella cura del cancro al polmone nel 2017?

Da Medscape del 31/01/2017

Mark G. Kris, MD

Traduzione del testo originale di Elettra Feltrin

NOTA

(*) Vedi al testo originale (e alla sua traduzione letterale), che in realtà, sono incorretti, in quanto il Pembrolizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato (isotipo IgG4/kappa con un’alterazione stabilizzante di sequenza nella regione Fc) anti PD-1 (programmed cell death-1) prodotto in cellule ovariche di criceto cinese con la tecnologia del DNA ricombinante.

TESTO TRADOTTO

Sono il dottor Mark Kris del Centro Tumori MSK di New York e vi parlerò dei cambiamenti epocali a cui abbiamo assistito nel 2016 nella cura del cancro al polmone.

Innanzitutto mi vorrei focalizzare sui trattamenti di prima linea e su come questi si siano rivoluzionati negli ultimi mesi. La svolta principale, dal mio punto di vista, è rappresentata dalla comparsa degli inibitori del ligando (*) del PD-1 (proteina della morte programmata 1) e, nello specifico, dal farmaco Pembrolizumab come terapia di prima linea in pazienti con alti livelli di espressione della proteina PD-L1. Ad oggi, sappiamo che c’è stato uno studio randomizzato che ha confrontato la chemioterapia tradizionale con il Pembrolizumab in prima linea. In quello studio, i pazienti con espressione della proteina PD-L1 del 50%, o anche maggiore, cui era stato somministrato il Pembrolizumab, ottenevano il più alto tasso di diminuzione della malattia, la maggiore sopravvivenza libera da progressione di malattia e la maggiore sopravvivenza complessiva.

Da un punto di vista strettamente pratico, nei pazienti affetti da carcinoma squamoso è necessario determinare, nella prima linea, l’espressione di PD-L1. In caso di espressione positiva, si accede immediatamente al Pembrolizumab. In caso di pazienti PD-L1 negativi, si utilizza il protocollo standard per il carcinoma squamoso, vale a dire cisplatino e gemcitabina, o cisplatino associato ad un taxano (in genere noi preferiamo il Taxotere).

In caso di carcinoma squamoso con bassa espressione di PD-L1 al momento della diagnosi, è disponibile anche un altro farmaco da aggiungere alla chemioterapia: si tratta del Necitumumab, un farmaco che generalmente è ben tollerato ed aggiunge qualcosa in termini di sopravvivenza complessiva: non molto, ma pur sempre qualcosa in più. Per quei pazienti disposti ad affrontare qualche problema in più a causa degli effetti collaterali, penso che sia un farmaco aggiuntivo efficace e credo che dovrebbe essere presente tra le opzioni terapeutiche da presentare a ciascun paziente.

E per l’adenocarcinoma? Una volta confermata la diagnosi di adenocarcinoma, la maggior parte degli oncologi oggi raccomanda di individuare le mutazioni genetiche. Per le mutazioni EGFR, ALK, ROS1, BRAF e MET ci sono molte terapie mirate. Per questo raccomando di accertare sempre la presenza o meno di queste mutazioni. Per l’adenocarcinoma ci sono state delle svolte epocali. Molti oncologi qui in America non solo dispongono di ampi panelli di test tissutali di ultima generazione, ma anche di panelli di test analoghi basati sull’analisi del sangue.
Ormai sono spariti gli ostacoli per effettuare I test genetici, e non c’è più la necessità assoluta di prelevare del tessuto dal tumore. Oggi ci sono molte opzioni e per molti pazienti vale la pena effettuare l’analisi ed aspettare i risultati.

E’ necessario aggiungere che, nell’analisi delle mutazioni genetiche, è compresa la determinazione dell’espressione del PD-L1. Per pazienti con adenocarcinoma senza mutazioni trattabili, è molto importante l’analisi del PD-L1: in caso di positività, con livello superiore al 50%, noi opteremmo per il Pembrolizumab come terapia iniziale. Per i pazienti con negatività del PD-L1 si passerà alla chemioterapia che dal mio punto di vista dovrebbe essere Pemetrexed. Se le condizioni fisiche del paziente lo permettono, si potrebbe somministrare anche il Cisplatino, valutando sempre gli effetti collaterali e le condizioni cliniche del paziente.
E, per concludere, la valutazione del Bevacizumab per ogni paziente: nella maggior parte dei pazienti si può somministrare il Bevacizumab in concomitanza con i chemioterapici standard, e questa opzione deve essere presa in considerazione perché migliora sia il tasso di risposta, che la sopravvivenza senza progressione di malattia nonché la sopravvivenza globale, se somministrato in concomitanza con la chemioterapia di prima linea. Al momento, questo è uno standard di cura.

Per l’adenocarcinoma, la cosa importante è individuare un target per una terapia mirata. Sia per l’adenocarcinoma che per lo squamocellulare è poi necessaria l’analisi del PD-L1. Devo dire, sulla base della mia personale esperienza, che questo test è largamente diffuso. E’ davvero raro che uno dei pazienti che viene da me per un consulto non si sia già sottoposto al test del PD-L1. Ormai è diventato uno standard fra i test immunoistochimici; in effetti si potrebbe tranquillamente aggiungere alle analisi che si fanno al momento della diagnosi di carcinoma polmonare.

 

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