Riceviamo...
… lo sfogo di una nostra sostenitrice che, pur comprendendo gli aspetti deontologici ed etico-giuridici dell’informazione in oncologia, si dice stanca e indignata per la superficialità con cui molti oncologi comunicano ai propri pazienti delle prognosi infauste, che sono comunque previsioni molto variabili sul probabile andamento futuro della malattia.
Il codice deontologico dei medici, all’Art. 33 relativo alle Informazioni al cittadino, cita:
”Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, alfine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto all’informazione deve essere rispettata.”
Vorrei richiamare l’attenzione sui seguenti passi:
1) “idonea informazione sulla prognosi”
L’informazione sulla prognosi, relativa a tutte le patologie, ma in particolare al cancro del polmone, è sempre un’ipotesi. Il medico, non essendo onnipotente né onnisciente (poteri che ha solamente Dio), non ha la competenza di conoscere tutte le variabili che possono presentarsi durante il decorso di una malattia.
Quindi si può affermare senza ombra di dubbio che il medico comunica la SUA prognosi sulle basi delle SUE conoscenze (che possono essere anche inadeguate o non aggiornate) oppure a seconda dell’umore del giorno o dello livello di empatia con i malati…
Purtroppo si deve far rilevare che sono sempre più numerosi i pazienti di neoplasia polmonare i quali segnalano oncologi che categoricamente e con freddezza fissano il limite della loro vita (4 mesi, 6 mesi, un anno…)
2) “Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.”
Quale uomo, per quanto in possesso di laurea più specializzazione più decine di corsi di formazione (forse) più un certo numero di pubblicazioni e di concorsi può informare con prudenza che “morirai tra 6 mesi” oppure che “tra un anno la patologia non sarà più trattabile”?
L’utilizzo dei termini “La comunicazione di una prognosi infausta” è in pieno e anche ridicolo contrasto con la parte successiva che recita “senza escludere elementi di speranza”.
Vien da pensare che chi ha redatto il documento abbia sofferto solo , al massimo, di coliche renali o di distorsione di qualche legamento. Sicuramente non ha mai sentito, riferito a se stesso, “lei ha il cancro”.
Non ci vuole l’intelligenza di Albert Einstein o l’ecletticità di Leonardo per sapere che l’atteggiamento del malato nei confronti della malattia sia più importante di molte medicine e che una terapia che trascura la parte emotiva può non solo ostacolare l’esito delle cure ma peggiorarle.
3) “La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”
Solo chi sa come funziona il sistema sanitario, in particolare in ambito oncologico non dà il consenso, ma un paziente comune che pensa di affidarsi nelle sapienti mani di colui che l’aiuterà nella seria lotta con il cancro del polmone lo accorderà.
E così riceverà… con tutte le perverse cautele possibili (!) (sfido qualsiasi oncologo a darne un esempio pratico) …forse… vaghi (chissà quali?) cenni ad una forma di speranza, la sua prognosi: “Caro signore, la sua patologia è aggressiva. Lei ha 6 mesi di vita”
Molto bravi questi medici! Molto efficienti, umani, sensibili, empatici questi individui, che sicuramente conosceranno magistralmente la vita, le opere ed il pensiero del padre dell’oncologia italiana, il dott. Umberto Veronesi, il quale dichiarò in un’intervista all’Espresso “Ma la prognosi – la previsione di come la malattia si evolverà e quindi quanto e come la persona vivrà – è incerta, e come tale va comunicata. Poiché la medicina non è una scienza esatta, c’è sempre un margine di incertezza nello sviluppo di una malattia, e in quel margine si colloca la speranza.
Tutti i medici devono essere onesti, ma nessun medico ha il diritto di togliere a un malato la speranza. Perché quando si dice a qualcuno «devi morire», è come farlo morire in quel momento.”
In conclusione, cari oncologi, d’eccellenza o non, di città o di periferia, di grande fama o ignoti ai più, se non sono stata ancora chiara, evitate di fissare la scadenza ai vostri pazienti: non sono prodotti alimentari e voi non siete aziende.
Silvia